mercoledì 20 giugno 2007

La Rosa Bianca - Sophie Scholl

Questo film di Marc Rothemund, uscito nel 2004, racconta con grande precisione storica l’arresto, la detenzione, l’interrogatorio, il processo-farsa e la condanna a morte di Sophie Scholl, di suo fratello Hans e dell’amico Christopher Probst che, assieme ad altri studenti di Monaco diedero vita al movimento di opposizione al regime nazista “La Rosa Bianca”.
Narrato con stile scarno e senza indulgere in scene madri, il film ha il grande merito di riportare sotto la luce della storia una vicenda fin troppo poco ricordata. Bravi gli attori, sui quali spicca la protagonista Julia Jentsch, che interpreta con grande intensità ogni momento della passione di Sophie.

Mi occupai della Rosa Bianca in occasione della mia tesi di laurea in psicostoria. Rimasi subito affascinata da Sophie e dai ragazzi e dalla forza delle loro convinzioni. Ecco cosa scrissi di loro:

La "Rosa Bianca" era il nome con il quale un piccolo gruppo di studenti e docenti dell'Università di Monaco firmava dei volantini clandestini nel 1943, nei quali venivano denunciate le nefandezze compiute da Hitler e dai suoi accoliti e si invitava la popolazione tedesca a ribellarsi al regime, in nome della dignità e della libertà. Le figure preminenti nel movimento erano i fratelli Hans e Sophie Scholl.

Gli Scholl avevano condiviso all’inizio, come la maggioranza dei tedeschi, la suggestionabilità di fronte al simbolo risvegliato della patria, e aderirono da parte loro alla gioventù hitleriana. Il sentimento della comunità ed i suoi rituali di sempre, semplici ma terribilmente efficaci al contempo, li affascinavano e li allacciavano nella credulità. Sentivano che dovevano fare qualcosa per la patria ed erano convinti che sarebbe stato qualcosa di buono. Il loro padre, è vero, li metteva in guardia contro coloro che aveva intuito sarebbero stati dei profittatori e degli ingannatori, ma il loro entusiasmo era sincero.

L'esperienza nella Hitlerjugend, all'inizio così soddisfacente, volge in seguito verso il disinganno e una profonda delusione, soprattutto in Hans. Il comandante gli aveva proibito di cantare canzoni russe e norvegesi perché non appartenevano al suo popolo; gli aveva tolto dalle mani un libro di Stefan Zweig, proibito, ma soprattutto l'impatto con l'irreggimentazione e il grigiore del Congresso di Norimberga gli avevano procurato una profonda inquietudine, derivante dall'osservare la mancanza di libertà individuale nelle organizzazioni del partito.
Le notizie che filtravano a stento nella popolazione su coloro che sparivano nei campi di concentramento raggiunsero anche i cinque fratelli Scholl e la loro famiglia.
La sorella Inge, in un libro dedicato ai fratelli, ricorda:
"Oh, Dio! Il dubbio che inizialmente era solo una incertezza, si trasformò dapprima in una cupa disperazione, indi in una ondata di indignazione. Il mondo puro e fiducioso in cui credevamo cominciò a crollare, un po’ alla volta, nel nostro animo. Che cosa avevano fatto, in realtà, della patria? Non v'era più libertà né vita in fiore né prosperità né felicità per gli uomini che vivevano entro i suoi confini. Oh, no! Avevano posto, uno dopo l'altro, dei ceppi sulla Germania, fin quando non divenimmo tutti, man mano, prigionieri di un grande carcere".

Il contatto con l'ambiente universitario, e la scoperta di un diffuso malessere nei confronti della dittatura, spingono Hans all'azione. Nascono i primi volantini della "Rosa Bianca". Ha l'appoggio di un suo insegnante, il professor Huber, della sorella Sophie e di gruppo di amici e colleghi, tra i quali Christl Probst e Willi Graf. Poi seguono l'arresto del padre, oppositore da sempre del regime, condannato a quattro mesi di detenzione da un Tribunale Speciale e la guerra. Hans vede con i propri occhi gli effetti della odiosa persecuzione antiebraica.

Il ritorno a Monaco vede Hans e quelli della "Rosa Bianca" impegnarsi in varie iniziative, dalle scritte vergate sulla Ludwigstrasse, "Abbasso Hitler!", "Libertà", ai volantini da distribuire anche nelle università del resto del paese. Questi gesti sono solo apparentemente ingenui. Forse la Resistenza tedesca, paralizzata nell'impotenza, poteva solo accontentarsi di questi che sembrano gesti inadeguati di fronte all'enormità di ciò che succedeva in quel momento. Si potrebbe dire che allora in Germania occorresse più coraggio che altrove per scrivere "Libertà" su un muro. Oltre alla lotta contro il regime era in atto un conflitto, una lotta interiore contro un ideale nel quale si era creduto con convinzione fino all'impatto con la realtà.

In ogni caso, il regime rispose con ferocia alla ribellione dei suoi figli. Il 18 febbraio del 1943, Hans e Sophie furono arrestati e condotti in carcere, dove subirono interrogatori di giorni e notti sui loro presunti delitti. Anche gli amici furono condotti davanti al tribunale per un processo sommario. Apparvero altri volantini in quel febbraio a Monaco, questa volta rossi, con la scritta: "Sono stati condannati a morte per alto tradimento: Christoph Probst, di ventiquattro anni, Hans Scholl, di venticinque anni, Sophie Scholl, di ventidue anni. La sentenza è già stata eseguita".

La notte prima di essere decapitata, Sophie Scholl fece un sogno che raccontò alla sua compagna di cella:
"In una giornata piena di sole portavo a battesimo un bimbo che indossava una lunga veste bianca. Per arrivare alla chiesa dovevo percorrere un sentiero ripido di montagna. Ma portavo in braccio il bimbo saldamente e con sicurezza. Un crepaccio si aprì improvvisamente davanti a me. Ebbi appena il tempo di deporre il bimbo al di là del crepaccio, poi precipitai nella voragine. Il bimbo simboleggia le nostre idee, che si affermeranno ad onta di tutti gli ostacoli. Ci è stato concesso di essere i pionieri, ma dobbiamo morire per esse prima di vederle tradotte in realtà".

Hans, Sophie e i loro amici amavano il loro paese, credettero in Hitler che diceva di amarli, furono ingannati, uscirono dall'incantesimo ed ebbero il coraggio di indignarsi. Li uccisero perchè avevano scritto "Libertà" nelle strade di Monaco.

sabato 16 giugno 2007

Priscilla Pride


Oggi siamo tutti froci, contro l'intolleranza e l'omofobia.


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mercoledì 13 giugno 2007

Viale del Tremonti vol. 1

Qualche mese fa, visitando come al solito la Biblioteca di Shawshank ho letto che era partito un gioco a sfondo cinematografico sul blog "Qualcuno volò sul nido nel culo": rieditare i titoli dei film giocando con lettere e parole, aggiungendo una mini trama esplicativa.

Questo gioco nacque anni fa da una sfida tra Roberto Benigni, Stefano Bartezzaghi e Umberto Eco, come raccontato nel libro "Sfiga all'OK Corral" ed è sempre divertente.

Impossibile non partecipare all'iniziativa... ma come prevedevo il gioco mi ha preso la mano ed ecco qualche mia rivisitazione che ripropongo qui sul Kino dopo la trionfale tournée su "L'Orizzonte degli Eventi" (ma che sta' a ddi'?)

L'ennesima vittima di un feroce serial killerLa nona morta
Un giovane dentista aspetta il primo clienteIl deserto del tartaro
Cuoco giapponese in vacanzaUn tranquillo week-end di tempura
Le avventure di un micio goloso a NapoliLa sfogliatella e il gatto
Tragedia sfiorata al reattore nucleareLe radiazioni pericolose
Corrado Guzzanti perseguitato da un suo personaggio – L’odio di Lorenzo
Il dietro le quinte di “Amici” di Maria De Filippi - Cantando dietro i paraculi
Caccia al dermatologo scomparsoAlla ricerca di Nevo
Nazisti nascosti in un conventoDossier badessa
Evasione di ladruncoli da RebibbiaFuga di mezzetacche
Le storie parallele di un gruppo di politici in declinoViale del Tremonti
Un party in cantinaGiù la festa
Rocco a Parigi Il favoloso culo di Amélie
Annullata l'autopsiaNon aprite quella morta
Ogni tre pasticche un acido in regaloOmaggio allucinante
Il fascino di Zingaretti conquista anche i gayA qualcuno piace calvo
Partita a scacchi all’infernoL’arroccato del diavolo
In realtà avrebbe vinto KerryC’era una svolta in America
La magica RomaEcco l’impero dei Sensi
Mi piace spennare i polli a pokerBarando con uno sconosciuto
Le imprese di un gruppo di hackersCosì parlò Altavista
Porno acrobaticoLa foresta delle pugnette volanti
Vivo accanto ad una friggitoria cineseIl fetore dalla Cina colpisce ancora
Mi sono licenziataFuga dal capataz
Dramma della miseria, costretti a rubareLadri di cotolette
Donna rimane incinta di un alienoIl figlio verde
Trovato inedito di Steve McQueen girato ad AmsterdamGullitt
Storia di sangue e camorraIl cattivo fetente
Orrore a TorinoNon si sevizia un Chiamparino
L'incredibile storia di un messicano che un pomeriggio perse improvvisamente la vista - Il buio oltre la siesta
L'ultimo successo di Rocco - Good Night, and Good Fuck


domenica 10 giugno 2007

Echi tarantiniani in Casino Royale

Tra le notizie e notiziole legate al film che ha sancito il ritorno trionfale di James Bond sugli schermi c’è quella che a dirigere Casino Royale, in un primo momento, avrebbe dovuto essere Quentin Tarantino. Poi evidentemente non se n’è fatto nulla, anche se io personalmente avrei trovato succulenta l’idea, come tutte le cose impossibili.

Certo avremmo assistito alla totale dissacrazione del compassato agente inglese. Per intenderci, Bond dalla cura Tarantino non si sarebbe ripreso tanto alla svelta da potersi spupazzare Vesper sopra e sotto.
No, non sto dicendo che avrebbe fatto usare il rasoio a Le Chiffre in stile Mr. Blonde, anche Quentin è un uomo, per bacco! Dico solo che se Tarantino avesse avuto per le mani Bond lo avrebbe definitivamente privato di quell’alone di serietà e autocompiacimento che ne hanno fatto un mito. Un Bond che spara più cazzate che colpi di pistola, come Vincent Vega, non sarebbe stato proprio possibile.

Però che peccato, avremmo avuto forse meno azione e inseguimenti ma più violenza efferata e dialoghi surreali. Per esempio, durante la partita a poker qualcuno tra i giocatori avrebbe potuto iniziare una interessante discussione su “Baby One More Time” di Britney Spears e Felix ad un certo punto avrebbe potuto rubare l’agendina di Le Chiffre e dire “chi cazzo è Toby?”
Senza contare che vedere Harvey Keitel nella parte di Mathis, con tutto il rispetto per Giannini, avrebbe fatto venire i brividi. Come avrebbe liquidato lui i corpi… Samuel Jackson sarebbe stato grande nella parte del terrorista africano e se pensiamo a Pam Grier nei panni di M, a Hattori Hanzo in quelli di Q e a Lucy Liu con le lame rotanti nel cameo di “Toby la cinesina”, wow!

Ma è proprio vero che non c’è nulla di Tarantiniano in Casino Royale? Prendiamo la scena della “rianimazione”. Ha un qualcosa di comico che, se si fosse spinta un tantino più in là, avrebbe ricordato la resurrezione di Mia in Pulp Fiction. Certo, Vesper in abito da sera che spara un siringone in pieno muscolo cardiaco a James è un po’ forte, lo ammetto.

Veniamo alla famosa scena della tortura. All’inizio abbiamo un uomo nudo legato ad una sedia, in una specie di garage o capannone. Manca “Stuck in the Middle With You” alla radio, ma tutto ricorda “quella” famosa scena. L’uomo è in totale balia del cattivo, che se è stato capace di far gettare fuori da uno yacht i suoi ospiti è senz’altro uno psicopatico del cazzo.
Dall’altra stanza giungono le grida di Vesper. Cosa le staranno facendo? L’espressione di puro terrore in viso a Bond dice che qui non si scherza, qui c’è da aspettarsi qualcosa di tosto, roba splatter stile Eli Roth.

Poi però il glaciale Mikkelsen se ne esce con un apprezzamento sul fisico da sex bomb di Bond, con la battuta “Che spreco”!” e la scena comincia a cambiare registro. La tensione omoerotica scivola sul surreale quando Bond, nonostante riceva ben cinque colpi che avrebbero steso un toro Miura dopo il secondo, chiede a Le Chiffre di “grattarlo là sotto”.
Quando il torturatore sadico mette mano al rasoio e le cose sembrano volgere veramente alla bassa (in tutti i sensi) macelleria, chi arriva a mettere a posto le cose? Ci sarebbe stato bene Bruce Willis con la katana sguainata ma invece arriva solo Mr. White.
Mr. White, in puro stile “Iene”. Senza contare che nei panni del Mr. Blonde della situazione abbiamo un attore che si chiama Mads… come Michael Madsen. Ma queste sono solo coincidenze. Forse scopriremo che è solo perchè il vero nome di Le Chiffre è Marvin.
Ma che cazzo stavo dicendo?.. Ah si, tirate fuori un dollaro per la mancia.


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domenica 3 giugno 2007

Lara Croft - Tomb Raider

Il mio incontro con Lara Croft fu in occasione dell'uscita del primo gioco.
Carina la bambolina tutta curve da far saltare su e giù dai precipizi appesa alle liane, con delle sparatutto che avrebbero fatto invidia alla Milizia del Montana. Peccato che i miei tentativi di "giocare" con Lara si risolvessero tutti miseramente con la bambolina che cadeva in un fiume e moriva. Dopo aver ricominciato e averla fatta morire altre innumerevoli volte mi ruppi le palle e pensai che non era roba da quarantenni.
Noi vecchi al massimo possiamo giocare utilizzando i cheats in God Mode e scaricarci le nevrosi sparacchiando a destra e a manca ammazzando il più possibile. Feci così con "Doom" e "Blood". Con "Diablo" non barai ma non mi sono mai riavuta dal fatto di essere arrivata all'ultimo livello senza riuscire mai a battere lui, Diablo, appunto. Mortacci!

Tornando a Lara Croft, oggi ho voluto riassaporare il gusto di un bel filmaccio tutto avventura e neuroni disattivati, da cinema parrocchiale di una volta.

Con questo "Lara Croft - Tomb Raider" del 2001 sono partita assolutamente prevenuta, perchè Angelina è una presenza molto ingombrante, tra i canotti e le boe che gli hanno gonfiato a 2.8 per questo film e l'inizio era abbastanza noioso, con il transformer e tutti quei macchinari.
Vabbé, pazientiamo. Saltano fuori i soliti massoni complottardi, gli Illuminati, e un bel tomo giustamente odioso che vuole mettere le mani su un triangolo magico che, ricomposto nei due pezzi originali, darà a chi lo possiede poteri infiniti, ecc. ecc. A Indiana Jones fischiano le orecchie.
Tra un primo triangolo che si trova in Cambogia e l'altro che bisogna recuperare nell'amena Siberia, tra cani da slitta e laghi ghiacciati, botte, Lara che mena come una vera cattiva ragazza e tutto sommato il giusto di effetti speciali, il film risulta invece molto divertente.

Ok, lo confesso, il motivo vero per il quale ho messo su questo film oggi pomeriggio è qui a fianco. Una scena che mette a dura prova i tastini dell'avanti e quello dell'indietro sul dvd player. Che bella invenzione il tastino! Un bel dai e vai virtuale.

Ricompostami nei panni della critica seria, segnalo infine come Angelina possa essere promossa a pieni voti per la parte dell'eroina Lady Croft. Chi se ne frega dei canotti, è un gran bel vedere ed è ironica al punto giusto.
Cameone del babbo vero Jon Voight, imbolsito dagli anni (che peccato, ve lo ricordate giovane giovane in "Conrack"?).
Iain Glen interpreta con la giusta spocchiosa arroganza il cattivo neanche poi tanto tale.
Noah Taylor è il nerd occhialuto (era il giovane Helfgott in "Shine"), che fabbrica tutti i gingilli da combattimento per Lara, un po' il suo Q e Chris Barry è il maggiordomo dal nome femminile, Hillary. Supponiamo che in segreto, mentre Lara è in missione a recuperare cimeli lui si vesta con i completini da lady della padrona che lei gli snobba sempre.
Lui, Daniel Craig, è l'avventuriero Alex che risveglia per un attimo i sensi devitalizzati di Lara. Purtroppo l'eroina è affetta da un Edipo irrisolto grosso come una casa, pensa solo al babbo e sarà per un'altra volta. Che spreco.

venerdì 1 giugno 2007

Che la festa sia con voi - Trent'anni di Star Wars

Dite quello che volete, ma per me Star Wars è Darth Vader (o Fener, come lo tradussero allora, con la mania di storpiare tutto, in italiano).
Il padre perduto, l’angelo del male, il jedi votatosi al lato oscuro della Forza, ha sempre rappresentato per me il motivo principale di interesse per la saga, ideata da George Lucas, che il 25 maggio scorso ha compiuto trent’anni.

Andai a vedere il primo “Guerre Stellari” (ora Episodio IV nell’economia generale della serie) in un cinema di periferia. Avevo appena visto anche “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Spielberg che, con l’astronave madre rutilante di mille luci e colori, mi aveva impressionato più o meno come l’arrivo del treno a La Ciotat aveva colpito i primi spettatori del cinema dei fratelli Lumiére.
Sarà stata l’inadeguatezza tecnica della sala o la preferenza per il film di Spielberg ma allora “Guerre Stellari” mi sembrò più o meno una favoletta anche se arricchita da mirabolanti (per quei tempi) effetti speciali.
L’unica cosa che mi piacque veramente da pazzi era proprio lui, Darth Vader, con quel terrificante respiro da enfisema e la maschera nera che risvegliava in me il trauma infantile di Belfagor. In più era una carogna finita dai poteri misteriori e terribili e si sa che alle ragazze piacciono un sacco i farabutti.

Il resto della saga l’ho visto negli anni seguenti in TV o in DVD. Non ho mai considerato memorabili né il secondo episodio, “L’impero colpisce ancora” né tanto meno “Il ritorno dello Jedi”, con quel disgustoso Jabba the Hut (quando vedo il Betulla un po' me lo ricorda) e quegli stucchevoli orsetti del cappero.
E' vero, non avrei certo gettato alle murene Han Solo, e nemmeno forse Luke, R2D2 era il robottino più simpatico e spaccaballe dai tempi di Robby, ma Darth era Darth. A proposito, guardate un po' qui come si sono tutti ridotti. Un macello. Trent'anni e sentirli, eccome.

Il mio interesse per la saga si è destato nuovamente con i nuovi episodi prequel usciti negli ultimi anni, che promettevano di raccontare tutto l’antefatto e soprattutto la storia di Anakin Skywalker (Darth Vader) che ormai sapevamo essere il padre di Luke e Leia e del quale i nuovi episodi avrebbero rivelato la discesa all’inferno.
Nonostante un po’ troppi bambocci petulanti e una dose abbondante di sentimentalismo nella parte dedicata alla regina Amidala, con le nozze sul lago di Como dove mancava solo Clooney e un pericoloso miscuglio di amore, luna e stelle che avrebbe fatto mettere mano al fucile Bukowski, confesso che sono rimasta veramente colpita ed emozionata da una scena di Episodio III, visto al cinema l'anno scorso.

Dopo il duello all'ultimo sangue con Obi-Wan, Anakin giace orribilmente bruciato e amputato sulla riva di un fiume di lava e viene “ricostruito” e androidizzato, con la maschera che cala per ultima a chiuderlo per sempre nell’armatura nero metal-latex e il respiro diventa quello inconfondibile di Darth Vader. E’ una favola, lo so, ma è da brividi.
La fine dell’episodio poi, con l’apparizione della Morte Nera, si riagganciava perfettamente a quel film che avevo visto nel lontano 1978, con il quadro che ogni tanto se ne andava, tra il “buu-buu” dei ragazzini impazienti e il pavimento ricoperto di cartacce, stecchi di “moretto” e sacchetti di patatine.
Il ciclo era chiuso ed era valsa la pena di aspettare trent’anni per conoscerne il mistero.