venerdì 27 giugno 2008

Ci vediamo all'osteria, al numero venti

Cosa c'è di meglio del sexual freak di turno per convincere la gente ad uscire e spendere i fatidici sette/50 euro del biglietto del cinema? Dopo il mutante Tetsuo di Tsukamoto, detto " 'A trivella" e la Linda Lovelace con il clitoride delocalizzato dalle parti del velopendulo, ecco una vecchia conoscenza: la vagina dentata.

E' passato un po' in sordina la scorsa estate ma è recuperabile in DVD, "Denti", storia di una signorina che ha un modo tutto suo di stringere conoscenza con gli uomini che gli capita di incontrare. Un film ferocemente disapprovato dai peni e scansato dai ginecologi ma consigliato dall'Associazione Medici Dentisti Italiani. E' l'unica categoria che, alla visione, non viene colta dall'angoscia di castrazione. "Pensa", fantasticano, "un mondo di guadagni raddoppiati, con tutti quei denti, a mille euro ogni cura..."

La vagina dentata è un mito antichissimo che funziona sempre, soprattuto a livello catartico se inserito nel genere cinematografico rape and revenge (se pensiamo a cosa avrebbe combinato la Zoe di "L'angelo della vendetta" di Abel Ferrara con un'attrezzatura odontoginecologica del genere, vengono i brividi cinefili) e che ha perfino ispirato una certa oggettistica nata con il lodevole intento di scongiurare gli stupri.

Per fortuna il film non si prende troppo sul serio e non picchia solo sul tasto dell'horror, anche se qualunque maschio non esce sicuramente indenne dalla sua visione. Uno slogan perfetto per il film sarebbe stato "non adatto ai peni impressionabili".

Diretto dal figlio del noto pittore pop americano Liechtenstein, questa operina senza troppe pretese ma riuscita, recupera in un certo senso lo spirito anarchico-goliardico di Russ Meyer e l'umorismo associato al sesso di "Gola profonda". Quando compare il rottweiler poi, si sente perfino la mano di John Waters.
Il tono ironico serve intelligentemente a sdrammatizzare l'impatto decisamente tagliente dell'argomento. L'inquietudine è affidata alle torri di una centrale nucleare sita nei pressi della casa della protagonista. Colpevoli delle mutazioni?

A proposito di freaks cinematografici. Se la Sposa di Tarantino concepisse una figlia con Hannibal Lecter il risultato sarebbe la protagonista di "Hard Candy", film che non credo vedrete mai su Raiuno a Natale e che mi ha parimenti deliziato a noleggio.

Se una quattordicenne, una lupetto rosso con i geni di cotali genitori avesse tra le mani un pedofilo da tenere sequestrato per un intero pomeriggio, cosa mai potrebbe farne? A voi il gusto di scoprirlo ma, se siete maschi, astenetevi se avete appena visto "Denti". Per il vostro pene sarebbe decisamente troppo.


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domenica 15 giugno 2008

Evviva il paraculone

A me Michael Moore piace, come il Crodino. E' un paraculone ma gli argomenti che tratta sono troppo importanti per farseli sfuggire. A volte i suoi discorsi mireranno un po’ troppo alla nostra pancia, è vero ma sul fatto che gli americani siano ostaggio delle lobby delle armi, che la famiglia Bush sia sempre stata in affari con loschi individui sauditi e non e che un americano disoccupato rischi di doversi vendere la casa e forse anche le terga per potersi permettere un intervento chirurgico, non ci piove.
Moore è la versione super-size del bambino che grida "il Re è nudo", per questo mi è simpatico e poi ce ne fossero di americani così, che hanno l’umiltà di ammettere che non sono semidei perfetti e che altri paesi in certe cose sono più avanti del loro.

Mi piacque molto “Bowling for Columbine” e non dimenticherò mai la figura di merda che fece fare a Charlton Heston, che nessuno avrebbe mai detto essere un tale fascistone.
Mi deluse un po’ con “Fahrenheit 911”, solo perché non ebbe il coraggio di andare fino in fondo nel ragionamento sull’11 settembre (e per questo dico che è paraculone) ma anche lì la scena disgustosa di Wolfowitz che ciuccia il pettinino e l’espressione da encefalogramma piatto ma da gatto con il sorcio in bocca di Bush nella scuola della Florida valevano da sole i soldi del biglietto.
Oggi ho visto"Sicko", il suo ultimo film, e non mi vergogno di dire che alla fine mi sono commossa fino alle lacrime.

Sappiamo tutti che la sanità americana è qualcosa di osceno ma non se ne impara mai abbastanza.
Una decina di anni fa quando a causa di un virus ebbi la neurite ottica e tutta una serie di gravi problemi neurologici, per fortuna poi risolti, nell’incertezza della diagnosi e nell’angoscia di sapere se la mia malattia era guaribile o no frequentai parecchi forum americani su Internet, offerti da Istituti Medici Universitari. I pazienti esponevano i loro casi e i medici rispondevano.
Capitava anche di chattare tra di noi. Rimasi letteralmente di merda quando, in un forum di oculistica, una ragazza mi disse che avrebbe potuto curare la sua cecità progressiva grazie ad un intervento, che però costava 200.000 dollari, che lei non aveva. Ancora oggi questo pensiero, di qualcuno che forse non potrà più vedere perché non ha 200.000 fottutissimi dollari, mi fa impazzire. La trovo una cosa abnorme, di una ingiustizia siderale.

Altri malati, affetti da sclerosi multipla, mi raccontavano che spesso la loro diagnosi veniva nascosta alle loro compagnie assicurative perché altrimenti esse avrebbero ritirato la copertura. Si può capire perché: la sclerosi multipla è una malattia a tutt’oggi inguaribile, altamente invalidante e i farmaci utilizzati per il suo contenimento, come l’interferon-beta, sono carissimi. Aumenta il rischio e le assicurazioni si tirano indietro, lo sappiamo anche noi. Io stessa, quando fui ricoverata in neurologia per gli esami e la risonanza magnetica (tutto gratis), mi sentii dire in seguito dalla banca che l’assicurazione sui ricoveri offerta ai clienti non prevedeva un rimborso per le degenze nel reparto neurologia. Un’appendicite passi, ma una lesione neurologica magari permanente no.

Tornando ai forum americani, ricordo che ogniqualvolta dicevo che da noi le cure erano pressocchè gratuite si scatenava l’incredulità e anche quel senso di invidia che ben trasmette Moore nel suo film. Tutti a dire quanto ero fortunata e quanto loro trovassero ingiusta la loro condizione di dover dipendere dalle paturnie delle compagnie assicurative e da una sanità per principio a pagamento.

Ho letto in questi giorni le patetiche, a mio parere, difese dei tanti volontari della libertà autolaureatisi in quattro e quattr’otto avvocati difensori per partito preso del sistema sanitario americano. Quello che non ho letto da nessuna parte è l’ammissione che quel sistema è sbagliato perché semplicemente esula da un principio fondamentale di giustizia sociale: che la salute è un diritto, non un bene di consumo. E’ un problema di mentalità. Loro ti dicono che ci sono polizze che ti offrono servizi ben migliori dei nostri. Grazie al cazzo, se pago è ovvio, ma se perdo il lavoro per qualsiasi motivo, e può non essere colpa mia, negli USA perdo anche la copertura assicurativa. Dicono che c'è comunque un' assistenza gratuita per i "bisognosi" (Dio che nervi quando li definiscono così!) e che Moore è un cacciaballe.

Cercando l’immagine di Sicko da postare sono capitata per caso nel blog di questo ragazzo americano . Sentite cosa dice:
“Sono stato fortunato nella mia vita per aver sempre avuto qualche tipo di copertura assicurativa. Per un paio di interventi, l’assicurazione di mia madre coprì quasi per intero i costi.
La sola volta che rimasi scoperto fu quando mi trasferii a Dallas ed ero disoccupato in cerca di lavoro. Una volta trovatolo e ritornato in possesso di un’assicurazione sanitaria andai dal medico per un check-up e lui mi disse che non dovevo pagare nulla per gli esami, tranne 20 dollari per una specie di ticket. Un paio di mesi dopo ricevetti un conto di circa 400 dollari. Ero scioccato perché un mio amico aveva fatto gli stessi identici esami del sangue, nello stesso ospedale e presso lo stesso dottore e aveva pagato solo i 20 dollari.
Ho sempre pensato che se mi fossi ammalato seriamente nella vita avrei avuto una buona copertura assicurativa. Ora non ne sono più tanto certo. Sto pensando di trasferirmi in un paese dove c’è un servizio sanitario nazionale, così dovrei preoccuparmi di meno.”
Sono pensieri difficili da capire per noi, che se ci sentiamo male godiamo sempre e comunque di un servizio di intervento gratuito e che se dobbiamo subire un'operazione nessuno ci chiede se possiamo pagarlo. Nessuno nega che esistano la mala sanità, l’incompetenza e la sporcizia in alcune realtà di sanità pubblica ma il principio è salvo. La salute è un diritto. Le tasse che paghiamo permettono ai malati, tra i quali ogni tanto ci siamo anche noi, di essere curati
Il farmaco che Michael paga 120 dollari in USA, a Cuba costa 5 centesimi perché così dev’essere ma gli avvocati della sanità del libero mercato si farebbero tagliare le palle, pur di ammetterlo.

L'unico modo per farmi passare la fame

E' guardare "Super Size Me", film-esperimento ma anche opera di body-art estrema, uscito qualche anno fa ma sempre interessante da vedere e rivedere, per ricordarci quanto mangiamo bene noi italiani in confronto agli zii d'oltreoceano.

Riassumo il succo del film per chi non lo avesse ancora visto.
Cosa succede ad un uomo giovane e sano se si nutre per trenta giorni e tre volte al giorno solo con menu McDonald's rigorosamente megaporzionati, così popolari tra gli adolescenti americani? Semplice: ingrassa 11 chili, diventa depresso, dipendente dal cibo spazzatura, semi-impotente e con un fegato ridotto a paté.
Con Morgan Spurlock, l'autore del film, nella parte della cavia. Girando l'America dei fast-foods con lui scopriamo che ciò che pensavamo fossero solo leggende metropolitane sul cibo-spazzatura e sulla tipica dieta americana corrispondono purtroppo al vero e non si tratta solo di trovare un capello nel vostro hamburger!

Tra le cose allo stesso tempo incredibili e agghiaccianti descritte nel film, una coppia racconta come sia normale per loro bersi dai 6 agli 8 litri di coca cola al giorno.
La città di Houston in Texas ha il record degli abitanti obesi. Milioni di americani mangiano dalle tre alle quattro volte alla settimana nei fast-foods.
Un giro nelle mense scolastiche ci mostra ragazzini che ingurgitano schifezze ipercaloriche e bevono gatorade (uno degli intrugli più schifosi mai realizzati da mente umana dopo RedBull) come fosse acqua fresca, e pensare che è più pesante da digerire del piombo fuso.
I piccoli americani conoscono tutti e sono affascinati dal clown che reclamizza McDonald's. Nota inquietante, anche un famigerato serial killer pedofilo, John Wayne Gacy usava travestirsi da clown per attrarre le sue piccole vittime. Io, fossi McDonald's avrei cambiato testimonial da un pezzo ma forse lo fanno per intonarsi ad un'alimentazione assassina.

Scopriamo che il cibo dà dipendenza quanto l'eroina: il naloxone, farmaco anti-overdose da pronto soccorso, è in grado di produrre indifferenza al cioccolato in persone che ne abusano.
Il formaggio è ricco di endorfine, l'eccesso di consumo di zucchero è notoriamente legato all'aumento dell'aggressività. Forse è qui la risposta alla domanda che Michael Moore si faceva in "Bowling a Columbine", sul perchè solo in America vi sono 40.000 omicidi per armi da fuoco all'anno?
Alla fine del film si rimane disgustati per come una nazione possa incitare ad un comportamento così totalmente patologico nei confronti del cibo, produrre milioni di obesi gravi e poi tormentarli dalla mattina alla sera con immagini di "magro è bello, magro è sano".
Lo so che è banale dare la colpa alla bulimia da dollari delle corporations, dire che lo fanno solo per avidità e che non gliene frega un cazzo delle persone, ma sinceramente non si riesce a trovare altra spiegazione razionale.

Una nota positiva. Morgan ha riacquistato il suo peso forma con una sana dieta mediterranea e, in seguito al clamore suscitato dal successo del film, la McDonald's ha ritirato dai suoi ristoranti le porzioni "super size" che hanno rischiato di mandare l'autore-regista all'altro mondo.

Come sapete da qualche tempo sto sviluppando un odio patologico nei confronti delle diete e dei dietologi.
Ieri per disgrazia sono capitata su un programma tv dove dicevano che a metà pomeriggio dovrei mangiarmi una mastella (!) di macedonia e un finocchio intero crudo.
Dopo aver fantasticato di sodomizzare lo spiritoso dietologo tv con altri ortaggi più adatti all'uopo, come il carciofo sardo con le spine, ho pensato che è proprio vero che è tutta questione di percezione.
Perchè soffrire con diete e regimi o l'odiatissimo "moto", la stupidissima corsa che dovremmo trovare la forza di fare dopo otto ore e passa di lavoro e senza nemmeno l'ausilio di una righina di coca.
Noi ci crediamo grassi ma basta guardare gli americani e diventiamo subito magrissimi. Guardiamo "Super Size Me" e ci passa la voglia di mangiare. Stando comodamente seduti sul divano davanti alla TV.
La mia è una nuova rivoluzionaria teoria filosofica, il relativismo alimentare.

Qui il film integrale, in inglese. Nel sito trovate anche un mucchio di altri documentari da guardare gratis.

Il cinema, il cinema ribelle

Càpita a volte che un film che sulle prime ti era sembrato un tantino verboso, del quale magari te ne eri dormita un pezzo, nei giorni successivi ti scavi dentro come una talpa. A me succede spesso e di solito con i film che alla fine mi piacciono e ricordo di più.
E' l'effetto che mi ha fatto "Leoni per agnelli" di Robert Redford.

I critici cinematografici con i controcoglioni ci tengono a sottolineare che è un film schierato, di parte, ohibò di quel democratico incallito di Redford. Quindi non gli piace perchè, se è bello e cool scoprire il lato buono dell'ex carognone Ispettore Callaghan ammorbiditosi con l'età, si meravigliano che chi è stato democratico in gioventù non diventi un fascistaccio da vecchio.
Redford magari non ha il coraggio di gridare in faccia quel vaffanculo alla classe dirigente della quale racconta in questo film i misfatti perchè è un signore ma usa comunque allusioni sottili, e un finale che è peggio di una rasoiata che ti porta via l'orecchio.

E' un film in parallelo. Due soldatini volontari (metaforicamente rappresentati dal nero e dall'ispanico) mandati al macello, un giovane senatore 'rrampante con il cuore in pelle di coccodrillo che finisce per credere alle balle che racconta; una giornalista come non se ne fanno più, con i neuroni che si accendono di luce propria e che perlamadonna producono domande! che intervista il senatore per la sua rete televisiva; un professore socratico che cerca di risvegliare lo studentello brillante ma svogliato, quello capace in potenza di grandi cose, "che potrebbe fare di più" ma che ne ha per il cazzo. C'è un America da ricostruire (anche una sinistra?) e bisogna darsi da fare con il materiale che si ha a disposizione.

Qual'è la tesi di fondo del film? Questa guerra, queste guerre, venute dopo l'11 settembre, sono costruite sulle menzogne.
Il grande impero militare americano manda ancora i soldatini allo sbaraglio come nel Vietnam. "Mi sembra militarese per esca" fa notare la Streep al senatore Cruise quando lui spaccia la trovata di mandare piccoli gruppi di militari in mezzo ai talebani in cima ad una montagna come una grande campagna risolutiva della guerra. Campagna studiata a tavolino a Washington da gente che al massimo può rischiare la pelle scivolando nella doccia e che è specializzata nel mandare gli altri a morire per i suoi porci interessi. Quegli altri che riescono ad essere comunque eroi, i leoni del titolo, appunto.

Il duello dialettico tra Streep e Cruise è il pezzo chiave del puzzle, quello che mette a nudo il ruolo della politica e della stampa come complici nel trascinare il destino dei popoli nel baratro della guerra. E' solo quando i due agiscono in sinergia che il trucco funziona alla meraviglia.
"Quand'è che siete diventati così?" chiede Cruise ironicamente alla sua interlocutrice, intendendo "così bravi a bervi qualunque balla".
"Eravamo stati attaccati, c'erano i ragazzi impegnati al fronte", è la giustificazione che dà la Streep e che chiunque darebbe, in certe condizioni e soprattutto essendo americano. Facile pensare che se i leoni venissero a sapere fino a che punto gli agnelli li hanno raggirati non tarderebbero a sbranarli senza pietà.
Quando Meryl torna in redazione e parla al suo capo dell'intervista realizzata con il senatore, delle sue perplessità e dice "non possiamo riportare automaticamente tutto ciò che il governo ci dice", Redford ci mostra un'America ancora disperatamente aggrappata ai valori democratici, che però forse non resisterà alle logiche della scelta dei titoli delle breaking news.

Credo che questo film mi stia scavando dentro perchè, anche se parla dell'America, della guerra in Afghanistan, dell'eroismo dei marines, della patria e dei media a stelle e strisce è un film che riguarda l'Italia e quello che è diventata da noi l'informazione.
In quale buco nero è scomparsa la nostra stampa? Dove sono finiti i giornalisti che facevano le domande e mettevano in buca il potente intervistato, come faceva la buonanima dell'Oriana ai vecchi tempi? Che direbbero "no, questo non lo posso scrivere"?
Potremmo chiederci dove sono finiti i giornalisti e basta, sostituiti da una razza di reggitori di code e microfoni, con la testa che fa si-si come i cagnolini a molla delle automobili anni '60. Cagnolini da riporto di balle preconfezionate.

A questo punto immagini lo stesso film ambientato in Italia. Una giornalista entra nello studio del senatore per intervistarlo. Si sdraia a pelle di leone o si inginocchia e a questo punto non riesci ad immaginare altro, come seguito, che un film porno.