mercoledì 20 giugno 2007

La Rosa Bianca - Sophie Scholl

Questo film di Marc Rothemund, uscito nel 2004, racconta con grande precisione storica l’arresto, la detenzione, l’interrogatorio, il processo-farsa e la condanna a morte di Sophie Scholl, di suo fratello Hans e dell’amico Christopher Probst che, assieme ad altri studenti di Monaco diedero vita al movimento di opposizione al regime nazista “La Rosa Bianca”.
Narrato con stile scarno e senza indulgere in scene madri, il film ha il grande merito di riportare sotto la luce della storia una vicenda fin troppo poco ricordata. Bravi gli attori, sui quali spicca la protagonista Julia Jentsch, che interpreta con grande intensità ogni momento della passione di Sophie.

Mi occupai della Rosa Bianca in occasione della mia tesi di laurea in psicostoria. Rimasi subito affascinata da Sophie e dai ragazzi e dalla forza delle loro convinzioni. Ecco cosa scrissi di loro:

La "Rosa Bianca" era il nome con il quale un piccolo gruppo di studenti e docenti dell'Università di Monaco firmava dei volantini clandestini nel 1943, nei quali venivano denunciate le nefandezze compiute da Hitler e dai suoi accoliti e si invitava la popolazione tedesca a ribellarsi al regime, in nome della dignità e della libertà. Le figure preminenti nel movimento erano i fratelli Hans e Sophie Scholl.

Gli Scholl avevano condiviso all’inizio, come la maggioranza dei tedeschi, la suggestionabilità di fronte al simbolo risvegliato della patria, e aderirono da parte loro alla gioventù hitleriana. Il sentimento della comunità ed i suoi rituali di sempre, semplici ma terribilmente efficaci al contempo, li affascinavano e li allacciavano nella credulità. Sentivano che dovevano fare qualcosa per la patria ed erano convinti che sarebbe stato qualcosa di buono. Il loro padre, è vero, li metteva in guardia contro coloro che aveva intuito sarebbero stati dei profittatori e degli ingannatori, ma il loro entusiasmo era sincero.

L'esperienza nella Hitlerjugend, all'inizio così soddisfacente, volge in seguito verso il disinganno e una profonda delusione, soprattutto in Hans. Il comandante gli aveva proibito di cantare canzoni russe e norvegesi perché non appartenevano al suo popolo; gli aveva tolto dalle mani un libro di Stefan Zweig, proibito, ma soprattutto l'impatto con l'irreggimentazione e il grigiore del Congresso di Norimberga gli avevano procurato una profonda inquietudine, derivante dall'osservare la mancanza di libertà individuale nelle organizzazioni del partito.
Le notizie che filtravano a stento nella popolazione su coloro che sparivano nei campi di concentramento raggiunsero anche i cinque fratelli Scholl e la loro famiglia.
La sorella Inge, in un libro dedicato ai fratelli, ricorda:
"Oh, Dio! Il dubbio che inizialmente era solo una incertezza, si trasformò dapprima in una cupa disperazione, indi in una ondata di indignazione. Il mondo puro e fiducioso in cui credevamo cominciò a crollare, un po’ alla volta, nel nostro animo. Che cosa avevano fatto, in realtà, della patria? Non v'era più libertà né vita in fiore né prosperità né felicità per gli uomini che vivevano entro i suoi confini. Oh, no! Avevano posto, uno dopo l'altro, dei ceppi sulla Germania, fin quando non divenimmo tutti, man mano, prigionieri di un grande carcere".

Il contatto con l'ambiente universitario, e la scoperta di un diffuso malessere nei confronti della dittatura, spingono Hans all'azione. Nascono i primi volantini della "Rosa Bianca". Ha l'appoggio di un suo insegnante, il professor Huber, della sorella Sophie e di gruppo di amici e colleghi, tra i quali Christl Probst e Willi Graf. Poi seguono l'arresto del padre, oppositore da sempre del regime, condannato a quattro mesi di detenzione da un Tribunale Speciale e la guerra. Hans vede con i propri occhi gli effetti della odiosa persecuzione antiebraica.

Il ritorno a Monaco vede Hans e quelli della "Rosa Bianca" impegnarsi in varie iniziative, dalle scritte vergate sulla Ludwigstrasse, "Abbasso Hitler!", "Libertà", ai volantini da distribuire anche nelle università del resto del paese. Questi gesti sono solo apparentemente ingenui. Forse la Resistenza tedesca, paralizzata nell'impotenza, poteva solo accontentarsi di questi che sembrano gesti inadeguati di fronte all'enormità di ciò che succedeva in quel momento. Si potrebbe dire che allora in Germania occorresse più coraggio che altrove per scrivere "Libertà" su un muro. Oltre alla lotta contro il regime era in atto un conflitto, una lotta interiore contro un ideale nel quale si era creduto con convinzione fino all'impatto con la realtà.

In ogni caso, il regime rispose con ferocia alla ribellione dei suoi figli. Il 18 febbraio del 1943, Hans e Sophie furono arrestati e condotti in carcere, dove subirono interrogatori di giorni e notti sui loro presunti delitti. Anche gli amici furono condotti davanti al tribunale per un processo sommario. Apparvero altri volantini in quel febbraio a Monaco, questa volta rossi, con la scritta: "Sono stati condannati a morte per alto tradimento: Christoph Probst, di ventiquattro anni, Hans Scholl, di venticinque anni, Sophie Scholl, di ventidue anni. La sentenza è già stata eseguita".

La notte prima di essere decapitata, Sophie Scholl fece un sogno che raccontò alla sua compagna di cella:
"In una giornata piena di sole portavo a battesimo un bimbo che indossava una lunga veste bianca. Per arrivare alla chiesa dovevo percorrere un sentiero ripido di montagna. Ma portavo in braccio il bimbo saldamente e con sicurezza. Un crepaccio si aprì improvvisamente davanti a me. Ebbi appena il tempo di deporre il bimbo al di là del crepaccio, poi precipitai nella voragine. Il bimbo simboleggia le nostre idee, che si affermeranno ad onta di tutti gli ostacoli. Ci è stato concesso di essere i pionieri, ma dobbiamo morire per esse prima di vederle tradotte in realtà".

Hans, Sophie e i loro amici amavano il loro paese, credettero in Hitler che diceva di amarli, furono ingannati, uscirono dall'incantesimo ed ebbero il coraggio di indignarsi. Li uccisero perchè avevano scritto "Libertà" nelle strade di Monaco.

sabato 16 giugno 2007

Priscilla Pride


Oggi siamo tutti froci, contro l'intolleranza e l'omofobia.


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mercoledì 13 giugno 2007

Viale del Tremonti vol. 1

Qualche mese fa, visitando come al solito la Biblioteca di Shawshank ho letto che era partito un gioco a sfondo cinematografico sul blog "Qualcuno volò sul nido nel culo": rieditare i titoli dei film giocando con lettere e parole, aggiungendo una mini trama esplicativa.

Questo gioco nacque anni fa da una sfida tra Roberto Benigni, Stefano Bartezzaghi e Umberto Eco, come raccontato nel libro "Sfiga all'OK Corral" ed è sempre divertente.

Impossibile non partecipare all'iniziativa... ma come prevedevo il gioco mi ha preso la mano ed ecco qualche mia rivisitazione che ripropongo qui sul Kino dopo la trionfale tournée su "L'Orizzonte degli Eventi" (ma che sta' a ddi'?)

L'ennesima vittima di un feroce serial killerLa nona morta
Un giovane dentista aspetta il primo clienteIl deserto del tartaro
Cuoco giapponese in vacanzaUn tranquillo week-end di tempura
Le avventure di un micio goloso a NapoliLa sfogliatella e il gatto
Tragedia sfiorata al reattore nucleareLe radiazioni pericolose
Corrado Guzzanti perseguitato da un suo personaggio – L’odio di Lorenzo
Il dietro le quinte di “Amici” di Maria De Filippi - Cantando dietro i paraculi
Caccia al dermatologo scomparsoAlla ricerca di Nevo
Nazisti nascosti in un conventoDossier badessa
Evasione di ladruncoli da RebibbiaFuga di mezzetacche
Le storie parallele di un gruppo di politici in declinoViale del Tremonti
Un party in cantinaGiù la festa
Rocco a Parigi Il favoloso culo di Amélie
Annullata l'autopsiaNon aprite quella morta
Ogni tre pasticche un acido in regaloOmaggio allucinante
Il fascino di Zingaretti conquista anche i gayA qualcuno piace calvo
Partita a scacchi all’infernoL’arroccato del diavolo
In realtà avrebbe vinto KerryC’era una svolta in America
La magica RomaEcco l’impero dei Sensi
Mi piace spennare i polli a pokerBarando con uno sconosciuto
Le imprese di un gruppo di hackersCosì parlò Altavista
Porno acrobaticoLa foresta delle pugnette volanti
Vivo accanto ad una friggitoria cineseIl fetore dalla Cina colpisce ancora
Mi sono licenziataFuga dal capataz
Dramma della miseria, costretti a rubareLadri di cotolette
Donna rimane incinta di un alienoIl figlio verde
Trovato inedito di Steve McQueen girato ad AmsterdamGullitt
Storia di sangue e camorraIl cattivo fetente
Orrore a TorinoNon si sevizia un Chiamparino
L'incredibile storia di un messicano che un pomeriggio perse improvvisamente la vista - Il buio oltre la siesta
L'ultimo successo di Rocco - Good Night, and Good Fuck


domenica 10 giugno 2007

Echi tarantiniani in Casino Royale

Tra le notizie e notiziole legate al film che ha sancito il ritorno trionfale di James Bond sugli schermi c’è quella che a dirigere Casino Royale, in un primo momento, avrebbe dovuto essere Quentin Tarantino. Poi evidentemente non se n’è fatto nulla, anche se io personalmente avrei trovato succulenta l’idea, come tutte le cose impossibili.

Certo avremmo assistito alla totale dissacrazione del compassato agente inglese. Per intenderci, Bond dalla cura Tarantino non si sarebbe ripreso tanto alla svelta da potersi spupazzare Vesper sopra e sotto.
No, non sto dicendo che avrebbe fatto usare il rasoio a Le Chiffre in stile Mr. Blonde, anche Quentin è un uomo, per bacco! Dico solo che se Tarantino avesse avuto per le mani Bond lo avrebbe definitivamente privato di quell’alone di serietà e autocompiacimento che ne hanno fatto un mito. Un Bond che spara più cazzate che colpi di pistola, come Vincent Vega, non sarebbe stato proprio possibile.

Però che peccato, avremmo avuto forse meno azione e inseguimenti ma più violenza efferata e dialoghi surreali. Per esempio, durante la partita a poker qualcuno tra i giocatori avrebbe potuto iniziare una interessante discussione su “Baby One More Time” di Britney Spears e Felix ad un certo punto avrebbe potuto rubare l’agendina di Le Chiffre e dire “chi cazzo è Toby?”
Senza contare che vedere Harvey Keitel nella parte di Mathis, con tutto il rispetto per Giannini, avrebbe fatto venire i brividi. Come avrebbe liquidato lui i corpi… Samuel Jackson sarebbe stato grande nella parte del terrorista africano e se pensiamo a Pam Grier nei panni di M, a Hattori Hanzo in quelli di Q e a Lucy Liu con le lame rotanti nel cameo di “Toby la cinesina”, wow!

Ma è proprio vero che non c’è nulla di Tarantiniano in Casino Royale? Prendiamo la scena della “rianimazione”. Ha un qualcosa di comico che, se si fosse spinta un tantino più in là, avrebbe ricordato la resurrezione di Mia in Pulp Fiction. Certo, Vesper in abito da sera che spara un siringone in pieno muscolo cardiaco a James è un po’ forte, lo ammetto.

Veniamo alla famosa scena della tortura. All’inizio abbiamo un uomo nudo legato ad una sedia, in una specie di garage o capannone. Manca “Stuck in the Middle With You” alla radio, ma tutto ricorda “quella” famosa scena. L’uomo è in totale balia del cattivo, che se è stato capace di far gettare fuori da uno yacht i suoi ospiti è senz’altro uno psicopatico del cazzo.
Dall’altra stanza giungono le grida di Vesper. Cosa le staranno facendo? L’espressione di puro terrore in viso a Bond dice che qui non si scherza, qui c’è da aspettarsi qualcosa di tosto, roba splatter stile Eli Roth.

Poi però il glaciale Mikkelsen se ne esce con un apprezzamento sul fisico da sex bomb di Bond, con la battuta “Che spreco”!” e la scena comincia a cambiare registro. La tensione omoerotica scivola sul surreale quando Bond, nonostante riceva ben cinque colpi che avrebbero steso un toro Miura dopo il secondo, chiede a Le Chiffre di “grattarlo là sotto”.
Quando il torturatore sadico mette mano al rasoio e le cose sembrano volgere veramente alla bassa (in tutti i sensi) macelleria, chi arriva a mettere a posto le cose? Ci sarebbe stato bene Bruce Willis con la katana sguainata ma invece arriva solo Mr. White.
Mr. White, in puro stile “Iene”. Senza contare che nei panni del Mr. Blonde della situazione abbiamo un attore che si chiama Mads… come Michael Madsen. Ma queste sono solo coincidenze. Forse scopriremo che è solo perchè il vero nome di Le Chiffre è Marvin.
Ma che cazzo stavo dicendo?.. Ah si, tirate fuori un dollaro per la mancia.


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domenica 3 giugno 2007

Lara Croft - Tomb Raider

Il mio incontro con Lara Croft fu in occasione dell'uscita del primo gioco.
Carina la bambolina tutta curve da far saltare su e giù dai precipizi appesa alle liane, con delle sparatutto che avrebbero fatto invidia alla Milizia del Montana. Peccato che i miei tentativi di "giocare" con Lara si risolvessero tutti miseramente con la bambolina che cadeva in un fiume e moriva. Dopo aver ricominciato e averla fatta morire altre innumerevoli volte mi ruppi le palle e pensai che non era roba da quarantenni.
Noi vecchi al massimo possiamo giocare utilizzando i cheats in God Mode e scaricarci le nevrosi sparacchiando a destra e a manca ammazzando il più possibile. Feci così con "Doom" e "Blood". Con "Diablo" non barai ma non mi sono mai riavuta dal fatto di essere arrivata all'ultimo livello senza riuscire mai a battere lui, Diablo, appunto. Mortacci!

Tornando a Lara Croft, oggi ho voluto riassaporare il gusto di un bel filmaccio tutto avventura e neuroni disattivati, da cinema parrocchiale di una volta.

Con questo "Lara Croft - Tomb Raider" del 2001 sono partita assolutamente prevenuta, perchè Angelina è una presenza molto ingombrante, tra i canotti e le boe che gli hanno gonfiato a 2.8 per questo film e l'inizio era abbastanza noioso, con il transformer e tutti quei macchinari.
Vabbé, pazientiamo. Saltano fuori i soliti massoni complottardi, gli Illuminati, e un bel tomo giustamente odioso che vuole mettere le mani su un triangolo magico che, ricomposto nei due pezzi originali, darà a chi lo possiede poteri infiniti, ecc. ecc. A Indiana Jones fischiano le orecchie.
Tra un primo triangolo che si trova in Cambogia e l'altro che bisogna recuperare nell'amena Siberia, tra cani da slitta e laghi ghiacciati, botte, Lara che mena come una vera cattiva ragazza e tutto sommato il giusto di effetti speciali, il film risulta invece molto divertente.

Ok, lo confesso, il motivo vero per il quale ho messo su questo film oggi pomeriggio è qui a fianco. Una scena che mette a dura prova i tastini dell'avanti e quello dell'indietro sul dvd player. Che bella invenzione il tastino! Un bel dai e vai virtuale.

Ricompostami nei panni della critica seria, segnalo infine come Angelina possa essere promossa a pieni voti per la parte dell'eroina Lady Croft. Chi se ne frega dei canotti, è un gran bel vedere ed è ironica al punto giusto.
Cameone del babbo vero Jon Voight, imbolsito dagli anni (che peccato, ve lo ricordate giovane giovane in "Conrack"?).
Iain Glen interpreta con la giusta spocchiosa arroganza il cattivo neanche poi tanto tale.
Noah Taylor è il nerd occhialuto (era il giovane Helfgott in "Shine"), che fabbrica tutti i gingilli da combattimento per Lara, un po' il suo Q e Chris Barry è il maggiordomo dal nome femminile, Hillary. Supponiamo che in segreto, mentre Lara è in missione a recuperare cimeli lui si vesta con i completini da lady della padrona che lei gli snobba sempre.
Lui, Daniel Craig, è l'avventuriero Alex che risveglia per un attimo i sensi devitalizzati di Lara. Purtroppo l'eroina è affetta da un Edipo irrisolto grosso come una casa, pensa solo al babbo e sarà per un'altra volta. Che spreco.

venerdì 1 giugno 2007

Che la festa sia con voi - Trent'anni di Star Wars

Dite quello che volete, ma per me Star Wars è Darth Vader (o Fener, come lo tradussero allora, con la mania di storpiare tutto, in italiano).
Il padre perduto, l’angelo del male, il jedi votatosi al lato oscuro della Forza, ha sempre rappresentato per me il motivo principale di interesse per la saga, ideata da George Lucas, che il 25 maggio scorso ha compiuto trent’anni.

Andai a vedere il primo “Guerre Stellari” (ora Episodio IV nell’economia generale della serie) in un cinema di periferia. Avevo appena visto anche “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Spielberg che, con l’astronave madre rutilante di mille luci e colori, mi aveva impressionato più o meno come l’arrivo del treno a La Ciotat aveva colpito i primi spettatori del cinema dei fratelli Lumiére.
Sarà stata l’inadeguatezza tecnica della sala o la preferenza per il film di Spielberg ma allora “Guerre Stellari” mi sembrò più o meno una favoletta anche se arricchita da mirabolanti (per quei tempi) effetti speciali.
L’unica cosa che mi piacque veramente da pazzi era proprio lui, Darth Vader, con quel terrificante respiro da enfisema e la maschera nera che risvegliava in me il trauma infantile di Belfagor. In più era una carogna finita dai poteri misteriori e terribili e si sa che alle ragazze piacciono un sacco i farabutti.

Il resto della saga l’ho visto negli anni seguenti in TV o in DVD. Non ho mai considerato memorabili né il secondo episodio, “L’impero colpisce ancora” né tanto meno “Il ritorno dello Jedi”, con quel disgustoso Jabba the Hut (quando vedo il Betulla un po' me lo ricorda) e quegli stucchevoli orsetti del cappero.
E' vero, non avrei certo gettato alle murene Han Solo, e nemmeno forse Luke, R2D2 era il robottino più simpatico e spaccaballe dai tempi di Robby, ma Darth era Darth. A proposito, guardate un po' qui come si sono tutti ridotti. Un macello. Trent'anni e sentirli, eccome.

Il mio interesse per la saga si è destato nuovamente con i nuovi episodi prequel usciti negli ultimi anni, che promettevano di raccontare tutto l’antefatto e soprattutto la storia di Anakin Skywalker (Darth Vader) che ormai sapevamo essere il padre di Luke e Leia e del quale i nuovi episodi avrebbero rivelato la discesa all’inferno.
Nonostante un po’ troppi bambocci petulanti e una dose abbondante di sentimentalismo nella parte dedicata alla regina Amidala, con le nozze sul lago di Como dove mancava solo Clooney e un pericoloso miscuglio di amore, luna e stelle che avrebbe fatto mettere mano al fucile Bukowski, confesso che sono rimasta veramente colpita ed emozionata da una scena di Episodio III, visto al cinema l'anno scorso.

Dopo il duello all'ultimo sangue con Obi-Wan, Anakin giace orribilmente bruciato e amputato sulla riva di un fiume di lava e viene “ricostruito” e androidizzato, con la maschera che cala per ultima a chiuderlo per sempre nell’armatura nero metal-latex e il respiro diventa quello inconfondibile di Darth Vader. E’ una favola, lo so, ma è da brividi.
La fine dell’episodio poi, con l’apparizione della Morte Nera, si riagganciava perfettamente a quel film che avevo visto nel lontano 1978, con il quadro che ogni tanto se ne andava, tra il “buu-buu” dei ragazzini impazienti e il pavimento ricoperto di cartacce, stecchi di “moretto” e sacchetti di patatine.
Il ciclo era chiuso ed era valsa la pena di aspettare trent’anni per conoscerne il mistero.

mercoledì 30 maggio 2007

Brokeback Mountain - Casalinghi disperati

Quanti secoli dovranno ancora passare perchè in un film hollywoodiano si possa vedere una coppia gay che vive la sua condizione senza rodimenti, lacrime e tragedia finale e dove l'amore trionfa veramente?

Esiste un bellissimo documentario intitolato "Lo schermo velato", dove vengono intervistati autori, attori e registi che raccontano come Hollywood ha trattato il tema dell'omosessualità dagli esordi ai giorni nostri. Ne consiglio vivamente la visione, per capire come in fondo anche "Brokeback Mountain" non si discosti molto dal solito clichè sui gay nel cinema commerciale. Un film che ha avuto molto successo ma che, molto ambiguamente, non fa che contribuire a perpetrare una visione dell'omosessualità come sofferenza, espiazione, martirio.

Due uomini, due rudi cowboy, si trovano da soli su un monte a badare ad un branco di pecore. Prima fanno i duri e puri e poi che succede? Colpa dell'isolamento.
Per di più la situazione è delle più disgraziate. Uno dei due, dal nome assurdo di Ennis Del Mar è gay soltanto a part-time e di quelli che dopo essersi serviti abbondantemente si fanno venire la nausea quando gli portano il conto. E' evidente che l'altro, Jack Twist, il vero eroe della storia, quello totalmente gay e innamorato, sarà destinato a soffrire tutta la vita. Non a caso noi donne ci identifichiamo in lui dal primo istante.

Finita la stagione del pascolo i due si salutano e adios, non prima che Ennis abbia raccomandato all'amico di non raccontare a nessuno quello che è successo tra le fresche frasche, non si sa mai.
Tornato all'ovile, è proprio il caso di dirlo, Ennis si sposa una sciacquetta che in tre secondi netti gli scodella due marmocchie petulanti.
Dal canto suo a Jack va un tantino meglio. Almeno la sua altrettanto insulsa moglie è ricca, o meglio lo è il suocero.
Un giorno Jack si rifà vivo con Ennis e sono di nuovo dolci baci e languide carezze sotto il portico, con la mogliettina che occhieggia basita dalla finestra. Da quel momento i due, con la scusa di andare a pescare, si incontreranno periodicamente sulla montagna galeotta. Per vent'anni.
Tra divorzi, mamme che imbiancano e figli che crescono e nonostante abbia provato a rifarsi una vita con un altro casalingo disperato, il cuore di Jack è rimasto con Ennis a Brokeback Mountain. Ad ogni incontro ogni offerta di Jack di sfidare le convenzioni e andare a vivere insieme viene rifiutata dall'uomo tutto di un pezzo, che non vuole che il paese mormori ma preferisce vivere nell'ipocrisia del "toccami Cecco, mamma Cecco mi tocca". Anzi, affinchè suocera intenda, racconta di quando, da piccolo, assistette allo scempio di un gay del luogo, ucciso dai veri maschi del luogo con modalità efferate.

Come da manuale, non può mancare il finale tragico, i rimorsi tardivi, lacrime da coccodrillo e la camicia dell'amato che diventa la reliquia dell'amore impossibile, pateticamente appesa sulla gruccetta di fil di ferro.

Il film è piuttosto lento, noiosetto perchè scontato, senza momenti di vero grande cinema ma con molto National Geographic e Marlboro Man e con una sceneggiatura dai dialoghi a volte involontariamente ridicoli.
Dei due interpreti, calerei un velo pietoso su Heath Ledger, che ha l'espressività di un trumeau del '700. Sempre sulle spine, da un lato recita bene il ruolo del gay per forza ma, che cappero, un pò più di anima non avrebbe guastato. Jake Gyllenhaal invece è perfetto, caruccio e appassionato allo stesso tempo, anche se non arriva alle vette dell'indimenticato River Phoenix di "Belli e Dannati" che ancora oggi, nella scena della dichiarazione a Keanu davanti al fuoco, dà i brividi. Altri interpreti non pervenuti.

Io avrei avuto più coraggio di Ang Lee, avrei fatto una cosa tipo Thelma e Louise, con Ennis e Jack che lasciano le rispettive allucinanti mogli con un "hasta la vista baby" e scappano lontano andando a spassarsela allegramente non solo in montagna ma anche al mare, in campagna e in città. Che passando dalla Spagna si sposano, invecchiano felici e muoiono uno nelle braccia dell'altro.

lunedì 28 maggio 2007

Caché - Niente da nascondere

"Caché" ("Nascosto", tradotto malamente nel suo contrario "Niente da nascondere") di Michael Haneke, regista viennese qui alle prese con una storia di ambientazione francese, è uno di quei film che mentre li guardi ti chiedi come mai non stia succedendo nulla e guardi l'orologio ogni dieci minuti, ma quando hai terminato la visione cominciano a scavarti dentro come talpe.

Interpretato dai perfetti Daniel Auteuil e Juliette Binoche, inizia come un thriller e finisce in un incubo dal quale difficilmente i protagonisti potranno mai uscire. Un ritratto ultraborghese alla Chabrol ma se possibile ancora più crudele, un intervento a cuore e cervello aperti, eseguito senza anestesia.

L'occhio che osserva il protagonista Georges Laurent, un conduttore televisivo con una famiglia dove nessuno sa niente degli altri e apparentemente non succede nulla di rilevante, è quello di una videocamera, piazzata davanti a casa sua da mano ignota. Qualcuno gli recapita i nastri con le registrazioni, accompagnati da disegni infantili di bimbi che sputano sangue. Laurent e la moglie sono nel panico. Cominciano i sospetti, le bugie, il figlio scompare ma in realtà non è successo nulla, o forse qualcosa è successo? I bambini ci guardano.

Le videocassette, prova evidente che qualcuno lo osserva da vicino, obbligano Laurent a ricordare fatti sepolti vivi nella memoria, a togliere il velo di ipocrisia dai suoi gesti quotidiani, a mettersi a nudo anche con i superiori. Uno dei nastri riprende la casa dell'infanzia di Laurent e pian piano qualcosa comincia ad emergere dal passato.
Gli anni '60, i fatti di Algeria sullo sfondo, la famiglia di Laurent che voleva offrire un futuro ad un piccolo orfano algerino, la gelosia del figlio legittimo e un gesto di incosciente infantile crudeltà. Forse chi spaventa Laurent ha a che fare con quella storia lontana, forse è una vendetta o forse solo il tentativo di scuotere Laurent e la società che lo rappresenta dall'apatia.
Non ci potrà mai essere integrazione finchè ci difenderemo dagli altri, dai diversi considerandoli dei senza valore, o semplicemente rimuovendoli dalla coscienza, come l'anziana madre di Laurent (uno straordinario cameo di Annie Girardot).

Ciò che Laurent vuole, una volta riesumato il cadavere del passato è riseppellirlo al più presto, difendere la sua ottusa tranquillità borghese, tornare nella sua casa dalle pareti imbottite di libri, difendere la sua coscienza dal senso di umanità. Nemmeno l'assistere ad una scena sconvolgente e totalmente inattesa, ripresa in diretta dalla stessa videocamera come in uno snuff-movie, scuoterà il suo cinismo.

Haneke, con la scientificità di un anatomopatologo, fa l'autopsia alla nostra società, al nostro benessere materiale ma non morale, ai conti aperti con il passato. Non ci rivela chi ricatta Laurent ma l'ultima scena può forse farci intuire che la storia non è finita ma si protrarrà per le generazioni future. Voto 8.

giovedì 24 maggio 2007

Casino Royale - Se nun è bono, che Bond è?

Dopo lo straordinario successo ottenuto lo scorso inverno nelle sale di tutto il mondo, è uscito in DVD, in edizione singola e Collectors a due dischi, "Casino Royale", il primo Bond dell'era Craig.

Sono abbastanza grande per essere cresciuta con i film del mascalzone scozzese Sean Connery e fino a poco tempo fa avrei detto che non avrei avuto altro Bond al di fuori di lui. Avevo fatto i conti senza l'oste, però.
Un oste dal corpo da ululati e dallo sguardo blu che non è uno sguardo, ma un arma di distruzione di massa. Questo Daniel Craig, che Dio lo benedica, è proprio il più bono dei Bond.

In un primo momento i puristi erano insorti all’idea che ad interpretare l’agente 007 fosse questo inglese biondo di Liverpool dal fascino proletario che ti aspetti di trovare a bere birra in un pub piuttosto che un Martini “mescolato, non agitato” in un lussuoso locale per ricconi.
Non l'avevano ancora visto in smoking, e nemmeno in quei letali calzoncini "speedo" de La Perla (mi sono informata, sono andata a leggere l'etichetta!), mentre esce dall'acqua.

I tempi sono cambiati e i servizi segreti non sono più roba da signorine. Con tutti ‘sti terroristi in giro, ci vuole gente che spara, rotola, si arrampica sulle gru e viene giù dal sesto piano senza fratturarsi nemmeno una placca tibiale. Qualcuno con i muscoli gonfiati a 2.8 che all’occorrenza diventa un mago del poker, sempre al servizio di Sua Maestà, è ovvio. Per questo tipo di agente segreto stile “fatti, non pugnette”, Craig è assolutamente perfetto, come era perfetto Connery ai suoi tempi. Tra di loro, il nulla. Provate a rivedere gli altri Bond, dal Carneade Lazenby a Roger Moore e Timothy Dalton (e ci metto pure Brosnan), sono ormai inguardabili.

Il film in sé funziona molto bene e finalmente rende giustizia a quello che è considerato il miglior romanzo di Ian Fleming, “Casino Royale”, che è il primo della serie e che, per motivi legati ai diritti, finora non era stato ancora degnamente adattato per lo schermo, se non nella parodia del 1967 con David Niven e ancor prima in un tv movie del 1953.
Come negli altri episodi della serie non mancano le forzature e le situazioni paradossali, ma qui tutto è permesso, perchè Bond finalmente è tornato. Ed è anche un personaggio con una dimensione psicologica, che soffre, ama e odia. Merito anche qui di Daniel Craig, che non è solo sexy da morire ma anche un gran bravo attore.

La scelta degli attori nel complesso è stata felice. M è ancora una volta una maestosa Judi Dench, il cattivone Le Chiffre, il molto interessante danese Mads Mikkelsen, è una sorta di Pierrot cattivo che lacrima sangue dagli occhi bicolore alla Marilyn Manson.
Non c’è più la Spectre, perché la realtà degli ultimi anni ha superato il romanzo, e non sono ancora apparsi Q, l’omarello che forniva a Bond tutti i suoi gingilli e Miss Moneypenny. Forse saranno ripescati nei prossimi capitoli (ne sono previsti altri due per ora).

Gli attori italiani non sono trattati molto bene, per la verità. La prima Bond girl Caterina Murino dice tre parole, si strofina abbondantemente addosso a Bond (come dev'essere stato difficile immedesimarsi nella parte) e finisce morta ammazzata. L’agente Giancarlo Giannini è meno credibile di Scaramella e Claudio Santamaria salta in aria, dopo non aver detto nemmeno beo ma aver mezzo distrutto l'aeroporto di Miami.
La “Bond girl” protagonista Eva Green, gran topa sopraffina di rara eleganza e fascino, fa perdere la testa a 007 fino quasi a ridurlo desideroso di mettersi in pantofole davanti alla tv. Ohibò, per fortuna che c’è ancora mezz’ora di film. Il Bond pantofolaio, un’evenienza ancor peggiore di un ennesimo attentato di Al Qaeda, sarà per fortuna scongiurata.

Il finale ci offre il nostro agente, finalmente incarognito a dovere, sempre più arruffapapere e più letale di un cobra, che imbracciando un pistolone king size e con in sottofondo il tema di John Barry pronuncia la mitica frase "The name is Bond, James Bond" (da gustare in lingua originale, perchè pure la voce ha da infarto, 'sto fijo de 'na mignotta!). Da applausi.

E' un film da vedere in lingua originale anche per non perdersi la voce bellissima di Eva Green, molto più calda e sensuale di quella della doppiatrice italiana.

La qualità audio-video del DVD è grandiosa, anche se ho potuto apprezzarla solo sul mio misero vecchio tubo 100 Hz.
Nel disco extra della Collector's Editions sono presenti, oltre al video di Chris Cornell che canta il tema "You Know My Name", tre featurettes: una sulle varie Bond Girls apparse nei 21 film della serie con una carrellata sui vari episodi (sapevate che un giovanissimo Benicio del Toro ha partecipato ad un film di Bond?), una sugli effetti speciali e gli stunts di Casino Royale e una su come Daniel Craig è diventato Bond.
Come diceva la mia povera maestra: potevano fare di più. Ma mi giocherei qualsiasi cosa che a Natale uscirà l'edizione speciale a 4 dischi. Scommettiamo? 50 milioni di dollari.

martedì 22 maggio 2007

Il Codice Da Vinci - Aridatece Belfagor!


Imbarazzante come se avessero pubblicato sul web il tuo film privato dove fai il deficiente, o le porcate. Imbarazzante come tutti i film che nè il regista nè gli attori erano convinti di dover fare.
Il Codice Da Vinci è una tale accozzaglia di situazioni assurde che diventa persino imbarazzante parlarne.

Siamo a Parigi e i francesi parlano in francese con i sottotitoli.
Un vecchio non-si-sa-cosa viene sparato nel Louvre, non da Belfagor, che sarebbe stato sempre interessante, ma da un povero attore platinato, Paul Bettany, nella parte del monaco assassino-redento-assassino-succubo del monsignore cattivo dell'Opus Dei, Alfred "Dr. Octopus" Molina.
Questo monaco, che ha sviluppato un'ossessione per la Passione di Cristo di Mel Gibson, ignudo nella sua cameretta si flagella e impone il cilicio come la Binetti.
Il vecchio intanto, che dev'essere in realtà un artista underground, dopo essere stato ferito a morte dal monaco riesce a farsi un giro per il museo, a nascondere indizi da caccia al tesoro dietro famosi dipinti di Leonardo, scrivendo cose senza senso con il sangue e infine inscena una installazione di body art stendendosi nudo con un pentacolo disegnato a sangue sul petto. Mortacci!
Inevitabile che l'ispettore Fache, un Jean Reno sotto ipnosi, non ci capisca una mazza e chiami un certo Professor Langdon, esperto di simboli, per dirimere la questione. Langdon è interpretato da Tom Hanks che chiaramente è stato ricattato per fare 'sto film, devono essere saltate fuori delle foto dove bacia Wilson*.
In realtà Jean vuole incastrare Tom e meno male che passava di lì Amélie che diventa da quel momento il suo angelo custode. Hanks aveva chiesto Emmanuelle Seigner ma niente da fare.

Dopo uno spottone megagalattico della Smart con Amélie che guida meglio di Alonso, forse l'unico momento di azione del film, lei e Hanks, più spaesato del russo di "The Terminal" e in preda alla claustrofobia e forse al rimorso per essersi lasciato convincere a fare questo film, scappano per mezza Europa nascosti in un furgone portavalori. Notare che sono ricercati dalla polizia francese e presumibilmente dall'Interpol ma nessuna dogana nè posto di blocco riesce a fermarli.

Dopo essersi impadroniti di uno strano aggeggio tipo sudoku che conterrebbe la risoluzione in codice dell'enigma... già, quale enigma? vanno a trovare Gandalf il grigio che si è ritirato con un maggiordomo in una villa in campagna.
Gandalf offre funghi allucinogeni ai suoi attoniti ospiti e spiega loro come in realtà Cristo non sia mai stato crocifisso, ma fosse sposato con la Maddalena, che era la madre del Merovingio, quindi era la Bellucci in Matrix... no, nella Passione di Cristo, che Leonardo da Vinci, parente alla lontana di Morpheus, sapeva tutto perchè era del Priorato di Sion, una setta che difende le foche monache, o era il Santo Graal e che l'Opus Dei non si occupa di banchieri di Dio e alta finanza ma manda in giro i suoi adepti a partecipare alla caccia al tesoro.

Sempre più increduli, Amélie e Tom scoprono altresì che la Maddalena è stata sepolta da qualche parte dopo che, incinta durante la crocifissione (ma Gesù non era morto di vecchiaia?), era dovuta scappare con il primo volo per Parigi per dare alla luce una figlia dalla quale discendono i reali di Francia e anche Lady D, ed è lei il Santo Graal, non la coppa che quel pirla di Re Artù ha cercato tanto, (o era Lohengrin?), che i rotoli del Mar Morto contengono la soluzione dell'enigma della Gioconda, che Leonardo era gay, che se intrecci il segno del maschio con quello della femmina ottieni la croce di David e che nessun aereo si è mai schiantato sul Pentacolo... pardon, Pentagono.

Dopo che Amélie ha guarito Tom dalla claustrofobia con l'imposizione delle mani, una specialità di famiglia, e dopo aver scoperto che tra il maggiordomo e Gandalf la relazione non era quella che credevamo, ma che avevamo sospettato, i due fanno un interessante giro turistico in Scozia, nella famosa cappella dei Templari che ormai conosciamo meglio delle nostre tasche dove trovano il vero archivio della P2 e noi spettatori abbiamo finalmente l'incredibile disvelamento del mistero e scopriamo chi è in realtà Amélie.
Potrei dirvelo ma non lo faccio perchè sono buona e poi da soli non ci arrivereste neanche tra cent'anni.

Tornato a Parigi, non si sa perchè, Tom si aggira di notte nei pressi del Louvre, rimane affascinato dalla piramide ultramoderna e ha l'illuminazione! Sotto la piramide c'è... il nascondiglio di Belfagor. Ecco come faceva a intrufolarsi di notte nel Louvre. Ma alle sue spalle compare Jean Reno che gli porge una bomba a mano e gli dice: "questa te la manda Amélie, ti prego fai finire questo scempio". BOOOOMM!
In DVD ma solo se al massimo ci spendete €1,50 per il noleggio. Voto 4

Questa recensione contiene i riferimenti ad altri due celebri film. Chi li indovina avrà in dono la raccolta completa delle puntate di "Voyager".

domenica 20 maggio 2007

Spider-man 3


Stanchezza. Questa è la parola che mi viene di associare all'appena visto terzo episodio della saga dell'Uomo Ragno. Stanchezza e fiacca narrativa. Scarso entusiasmo da parte degli interpreti e degli spettatori. La coppia di fianco a me ad un certo punto si è messa tranquillamente a limonare ignorando completamente lo schermo, vi lascio dire.

Come in tutti i sequel che si rispettano anche qui si sta allungando la broda fino a renderla totalmente scipita. Se si pensa che questo film rimane nel ricordo solo per qualche scena ad alto tasso di effetti speciali non mi pare si possa considerare un complimento per Sam Raimi. A proposito, dov'è finita la proverbiale ironia di questo regista, che aveva fatto del primo Spider-man un film di supereroi diverso, meno pomposo e con un alter-ego umano decisamente dei più simpatici come Peter Parker? Citofonare Sam Raimi, ore pasti.
Gli effetti speciali, si diceva, e i cattivi di turno. Notevole l'uomo di sabbia, un pò meno il simbionte alieno che assomiglia un pò troppo all'olio nero di X-Files e l'altro villain, Venom. Alfred Molina, dove sei?

Charles Bukowski disse una volta: "Se mai dovessi parlare di amore e di stelle... uccidetemi". Ecco la fine che rischia di fare il vecchio Sam.
Tre quarti del film sono dedicati all'eterno tiramolla con l'eterna fidanzata MJ e sono francamente troppi. Un supereroe che ripiega sul privato a questo modo non s'era mai visto. Dopo tre puntate mi piacerebbe sapere tra l'altro che fine hanno fatto i superpoteri erotici ai quali si era accennato nel primo film. Da nessuna parte, visti i due di picche che piovono come nespole sul capo del povero Peter, qui però veramente troppo pirla per avere la nostra solidarietà.

E dello Spider-man nero non ce ne parli? L'alter-ego alieno che fa diventare Peter Parker un duro con due palle così? Che lo fa anche un tantino sbroccare? Bello il costume ma Tobey non sembra all'altezza della trasformazione psicologica. Più che preda di un simbionte sembra fatto di qualche brutto acido.
James Franco timbra il cartellino di eterno rivale in amore e antagonista nel comparto supereroi, Kirsten Dunst non è sfolgorante come il solito e Bryce Dallas Howard fa più o meno una comparsata da oca bionda.
Se questo è l'andazzo, per Spider-man 4 la vedo brutta. Voto 6 1/2 per crediti precedenti.

sabato 19 maggio 2007

Ariécchime

Dopo un lungo periodo di inattività, riapre in pompa magna il Kinolameduck.

Ultimamente la proiezionista dai piedi palmati non era più riuscita a vedersi un film da recensire e quei bei tomi di YouTube gli avevano sassato via la metà dei filmati, quindi è stato necessario un discreto lavoro di ri-linkatura delle clip, di aggiornamento dei testi, eccetera.
Godetevi (se vi accontentate di questi piaceri solitari) alcune recensioni di film non nuovissimi ma che potete recuperare facilmente in disco versatile digitale (DVD). Domani spero di portare la papera a vedere Spiderman III e quindi avremo anche un film nuovo da commentare assieme.

Cercate il vostro film preferito nei post addietro o grazie alle parole chiave.
A vostro rischio e pericolo visitate l'angolo del Bond-age nella sidebar. Cliccando sulle miniature delle clip si aprirà un piccolo schermo in alto dove potrete visionare vari filmati direttamente da Google Video (mannaggia, le studiano tutte!)
Nella scelta dei filmati si noterà una certa monotematicità e insistenza sul maschio sublime che ha folgorato di recente la proiezionista, ovvero il nuovo Bond, Daniel Craig. Portate pazienza, finchè non le passa bisogna sopportarla. Non mancheranno comunque i buongustai di entrambi i sessi che apprezzeranno tanto bendiddìo.

Orsù, vi lascio con la recensione di "Closer". Buone visioni.


Closer - Cornuti e mazziati


Dan, che non è Dan Brown, incontra Alice, che è Natalie Portman con la parrucca delle ragazze della base lunare di UFO e fa la lap dance. Lui si innamora perdutamente ma dopo cinque minuti vorrebbe farsi Pretty Woman che per campare ora fa la fotografa ed è piuttosto sciupatina.

Nel frattempo Dan, che non ha un cazzo da fare tutto il giorno perchè scrive necrologi e deve aspettare che qualcuno schiatti per "laurà", si diverte a scrivere zozzerie in chat e si spaccia per una certa Anna, che poi è Pretty Woman. Ma guarda i casi della vita, chi chatta con lui è Clive Owen che dovrebbe fare il dermatologo ma stufo delle altrui piattole cerca di distrarsi anche lui chattando.

Dopo una buona mezz'ora di "mi ti farei in metropolitana davanti a tutti", "ah, si, ancora, strizzami le tonsille con le pinze", "ti spalmerei tutta con la gorgonzola", "fammi vedere i sorci verdi", il perfido Dan organizza un'anella mostruosa all'ignaro Clive. Sempre spacciandosi per la strafiga di nome Anna gli dà un appuntamento all'acquario di Genova dove, ma guarda i casi della vita, la vera Anna si troverà veramente a passare. Dopo una figura di merda di Clive che ricorda all'ignara Pretty Woman le porcate che si sono detti in chat, i due si innamorano.

Passano i mesi, Clive ha sposato Pretty Woman ma lei, la porcona, pensa ancora a Dan che sta con Alice e naviga e scarica i film gratis.
Passano i mesi, Pretty Woman ha messo le corna a Clive con Dan nel loro appartamento elegantemente arredato all'Ikea, così impara a chattare in ambulatorio invece di darsi da fare, e lui le fa un cazziatone molto raffinato, dandole elegantemente della troia.
Disperato, Clive va nel locale di lap dance dove, ma guarda i casi della vita, c'è Alice che gliela fa vedere dietro lauto compenso e poi in seguito gliela dà gratis.

Passano i mesi, Alice scopre che Dan scrocca l'ADSL e la tradisce, si incazza e va via di casa. Poi ne ho dormito un pezzo... Alice è tornata ma racconta a Dan, che ancora la ama, come si è fatta sbattere da Clive dietro la biglietteria delle giostre al lunapark e nel finale Dan scopre che Alice non era Alice ma Fastweb. Ecco perchè non riusciva a far andare il mulo!